A cura di Stefano Vatti
Sono al banco frigo, quando un’amatissima zia ottantenne mi saluta e mi chiede: “Ma allora? Questo tribunale?” La guardo divertito, pensando che giusto il giorno prima identica domanda mi era stata posta da un artigiano mio fornitore, mentre fino a pochi anni fa le persone si domandavano che lavoro svolgessi, quando dicevo “mi occupo di brevetti”.
I fatti
La cronaca racconta che Milano sembrava designata dall’UE per accogliere la sede inizialmente prevista a Londra per il Tribunale Europeo dei Brevetti, fino a quando la diffusione di un comunicato non cambiava completamente le sorti della situazione: la corte londinese sarebbe stata spartita esclusivamente tra Parigi e Monaco, con l’esclusione della sede italiana. Dopo meno di ventiquattro ore, con un nuovo colpo di scena, il Ministero degli Esteri rendeva noto che l’accordo politico era stato raggiunto e la sede sarebbe stata ripristinata.
Nell’euforia, quindi, di una designazione che dà lustro allo Stato Italiano, e che forse rende onore al fatto che ci possiamo definire patria del diritto europeo e Paese dove il brevetto ha visto la sua prima legge, è giusto comprendere di che cosa si stia effettivamente discutendo, cercando di non apparire eccessivamente didascalici, benché alcune informazioni di base siano necessarie.
La tutela del brevetto
La tutela di un brevetto è sostanzialmente la concessione a un inventore di ottenere, per un tempo definito e a fronte del pagamento di tasse di mantenimento, il monopolio su una soluzione innovativa. Tale concessione può essere valida in uno o più singoli Stati o in “gruppi di Stati”. Per esempio, esiste il brevetto federale statunitense, ma non esiste il brevetto di un singolo Stato che fa parte degli Stati Uniti. Di contro, il cosiddetto brevetto europeo tutela tutti i Paesi che aderiscono alla convenzione (più dei soli Paesi dell’Unione Europea, e addirittura d’Europa) finché non sia giunto alla concessione, ma richiede che il titolare scelga i Paesi di effettivo interesse se la domanda supera l’esame di merito e viene definito “concesso”.
Una volta concesso, il brevetto segue le norme del Paese in cui è stato convalidato, come se fosse stata depositata una serie di brevetti nazionali. Conseguentemente, secondo questa procedura, e per alcuni Paesi almeno fino al 31 maggio scorso, il titolare di un cosiddetto “brevetto europeo” perde l’unicità della domanda del brevetto, trovandosi a gestire un fascio di brevetti nazionali aventi tutti identico ambito di tutela.
La nascita dell’Unione Europea ha portato allo sviluppo di tutele comunitarie, che hanno riguardato, per esempio, i marchi ed i modelli o disegni, e al desiderio di unificare anche l’esclusiva brevettuale, in modo da rafforzare la posizione dei titolari di un brevetto, avvicinare l’Unione Europea a USA e Cina, per numero di brevetti depositati e per “popolazione interessata” da un singolo brevetto e per ridurre gli inghippi burocratici dello sviluppo delle aziende, spesso costrette a lunghi contenziosi dall’esito contrastato a seconda della giurisdizione e con tempi profondamente differenti.
È sorto così il desiderio di creare un brevetto dell’Unione Europea, con una relativa giurisdizione legale speciale, appunto il cosiddetto Tribunale Unico dei Brevetti, di cui si è parlato con discreta enfasi recentemente sui mezzi di comunicazione nazionali. L’intento era di arrivare a costituire un’unica giurisdizione, con tribunali competenti e votati esclusivamente alla gestione di controversie in materia brevettuale, per rendere snelle le procedure correlate e favorire l’innovazione. Originariamente sedi del Tribunale Unico erano state designate Parigi, Monaco e Londra; con l’avvento della Brexit è cominciata una lunga, per non dire estenuante, trattativa per identificare la città che avrebbe dovuto ospitare la terza sede, che ha portato alla fine ad identificare Milano come sede migliore, anche perché l’Italia è uno dei Paesi che deposita il maggior numero di brevetti, benché per varie ragioni sia stato deciso che a Milano il Tribunale Unico approderà solo nel 2024, nonostante sia stato ufficialmente instaurato il 1 giugno 2023. Ci sono ancora alcune incertezze sulle competenze che dovrà trattare Milano, ciò che ancora comporta un ampio dibattito tra i professionisti del settore e a livello diplomatico, per cui la questione può essere comunque considerata “in fieri”.
A supporto del fatto che si tratti ancora di “opus in fieri”, è anche da considerare che la procedura burocratica connessa con un così importante cambio di mentalità ha avuto comprensibilmente un cammino complicato, con vari Stati aderenti all’Unione Europea che hanno considerato alcuni passaggi della costituenda convenzione del cosiddetto “brevetto Unitario” (di esclusiva giurisdizione del Tribunale Unico dei Brevetti) incoerenti con le proprie regole costituzionali o contrari agli interessi della propria industria nazionale. Ciò ha portato alla creazione di un’istituzione comunitaria basata sulla “cooperazione rafforzata”, ovvero su un numero limitato di Stati, facendo decadere al momento il sogno di un’unica tutela per l’intera Unione Europea. Il cosiddetto “brevetto unitario” diventa pertanto un “super-Stato” nella procedura del brevetto Europeo, per cui il titolare – giunto al momento della concessione – potrà chiedere la tutela, insieme eventualmente agli altri Stati che non hanno aderito (per i quali le modalità di convalida resteranno inalterate): un’eventuale attività di tutela di un brevetto sarà gestita mediante un’azione legale presso il tribunale unico e una serie di azioni legali negli altri Stati, non consentendo così al momento la desiderata unitarietà di giudizio per tutti gli Stati dell’Unione Europea.
Confermando che Milano, e l’Italia intera, è pronta per accogliere il tribunale unico, ancora, tra i maggiori fautori di questo sistema, aleggia la speranza che – passato un primo periodo di rodaggio – si riescano a risolvere le problematiche in essere, portando così il numero di Stati che vi aderisce alla completezza dei Paesi UE, così da avere una valida tutela Europea.