A cura di Stefano Vatti
É difficile pensare che possa essere sfuggita a qualcuno la notizia che il noto “steambot willie” sia diventato di pubblico dominio, ovvero che i detentori dei diritti d’autore per il notissimo cartone animato non possano più esigere che autorizzazione preventiva sia concessa a quanti vogliano fare uso di quelle note figure. I più colti, o attenti, o curiosi, o tutte e tre le caratteristiche, hanno voluto evidenziare che anche altri classici ancora tutelati dal diritto d’autore sono ora stati svincolati, anche se appare ben probabile che l’utilizzo commerciale di opere come “Orlando” o “il mistero del treno azzurro” sia ben meno importante ed utile di quello di un’immagine “amica” per i bimbi e per i grandi.
Pertanto, la scusa è buona per fare qualche riflessione, alcune banali – e quasi certamente lette più volte sui social e sulla stampa ufficiale – altre mi auguro più utili per giungere a capire come meglio gestire le informazioni in merito ai diritti di proprietà intellettuale scadute.
É noto che i diritti di esclusiva sono teoricamente normati in modo che non sia garantita una tutela perpetua, al fine di non concedere ad un’unica entità l’eccesso di esclusiva, mantenendo il rispetto della auspicata concorrenza perfetta. In quest’ottica, risulterebbe palese che certamente sarebbe ora possibile utilizzare tutti i personaggi, le musiche e gli scenari che sono reperibili nel noto cartone animato, ormai di pubblico dominio.
Il marchio di fatto
Tuttavia, è opportuno in questi casi, tenere conto del fatto che – almeno in Italia – è riconoscibile l’istituto del cosiddetto marchio di fatto, secondo il quale la connessione di un segno a un determinato produttore per un pubblico sufficientemente ampio, consente al produttore di disporre di quel segno, anche se non ha un diritto riconoscibile da una registrazione. Rispetto al marchio registrato, tuttavia, il marchio di fatto ha di norma un ambito di tutela limitato ai soli prodotti e servizi per cui il marchio di fatto è riconosciuto, non essendo di norma ammessa la contestazione a terzi per prodotti o servizi affini.
Tuttavia, nel caso di segni particolarmente riconoscibili, la situazione potrebbe risultare differente.
Nello specifico, la domanda – peraltro postami nei primi giorni di gennaio da un caro amico – appare piuttosto chiara: che succede se un’attività commerciale usa il disegno di un “Mickey Mouse, non ancora Topolino” stilizzato e “acerbo” recentemente diventato di pubblico domino per richiamare l’attenzione della clientela: ne ha diritto o può correre qualche rischio? Il rischio di contestazioni da parte della titolare del diritto è a mio avviso alto. Quanti in effetti vedendo quelle immagini possono dire di aver visto solo la stilizzazione di un topo, e non un noto personaggio che ha allietato – e allieta – l’infanzia? A quanti, vedendo uno o più dei personaggi che costituiscono l’assai noto cartone animato, non torna immediatamente alla mente quel mondo fantastico costituito da meravigliose opere d’arte, canali di intrattenimento domestici ed esaltanti centri divertimenti, non a caso definito da tanti come “impero”?
Per rafforzare la posizione, il titolare del diritto d’autore che vede giungere il termine dell’esclusiva può prevedere di procedere con la tutela di un marchio, identificando i profili più utili per la tutela, tenendo specificamente conto da un lato dell’uso che verosimilmente potrebbe essere fatto del segno e dall’altro del modo per poter più facilmente contestare un uso illecito da parte di terzi che facciano uso di segni che solo in parte richiamino il marchio registrato. Parimenti, può realizzare un restyiling di quelle linee storicamente apprezzate e utilizzate, in modo da anticipare e prevenire chi voglia ispirarsi all’originario disegno.
Alle considerazioni sopra esposte, sempre valide, occorre ricordare anche il rischio che, trattandosi di opera che ha assunto valenza artistica, potrebbe essere considerata come un “bene culturale”, e ottenere così una tutela che rischia di risultare ancora più forte delle tutele registrate convenzionalmente opponibili.
Stop alle royalties
Tutto ciò detto, tuttavia, è necessario evidenziare che chiunque decida di trasmettere l’opera integrale di “steambot willie” sul proprio canale social non rischia né denunce né oscuramento, o richiesta di pagamento di una royalty, perché si tratta di trasmissione di contenuti disponibili al pubblico.
Lo scenario ora rappresentato è comprensibilmente una speculazione sulle varie opzioni a disposizione di chi vede a rischio un monopolio pluriennale acquisito per un fumetto (ovvero una particolare forma grafica) che ha acquisito con il tempo una incontestabile rinomanza
Differente sarebbe, in casi meno eclatanti, come ad esempio una delle opere letterarie precedentemente citate, od un’opera musicale.
È infatti ben difficile poter supporre che un’opera letteraria acquisisca – per intero o per un suo passaggio – una sufficiente notorietà da risultare “marchio”, o distintiva. Allo stesso modo, un’opera musicale – che non sia nata per essere appunto marchio – è strettamente connessa all’ideatore o al suo esecutore. Non è probabile che l’opera sia strettamente connessa, al punto da apparire indissolubile, con un prodotto o un servizio, anche se per anni è stata utilizzata per le campagne pubblicitarie a quest’ultimo associate.
In ogni caso, l’utilizzo di parti di opere altrui richiede necessariamente che l’autore sia citato, anche se l’utilizzo avviene nell’ideazione di un’altra opera artistica, anche di differente natura.
Chi era giovane negli anni ottanta e amava la musica, probabilmente ricorderà il clamore creato dall’uscita di un disco di Sting, il cui titolo corrispondeva a un rigo di un sonetto di Shakespeare: quel titolo era poi inserito – nel complesso del rigo del sonetto mutuato – in una canzone (“my mistress’ eyes are nothing like the sun”). Non ci fu altro scalpore che la contaminazione tra classico e moderno (ai tempi Sting era ancora considerato moderno, oggi forse no), e probabilmente il cantante inglese fece conoscere al pubblico non britannico un’opera minore del Bardo inglese.
In altre parole, sempre la via prudenziale è di riconoscere come e se l’uso dell’opera dell’altrui ingegno – al netto dello scadere ufficiale di diritti registrati – possa dare origine ad un indebito vantaggio.