Cross Licensing: cos’è e perché può creare duopoli

A cura di Stefano Vatti

Dalle “marcature a uomo” fra Ericsson e Nokia, alle disfide di Apple e Samsung fino alla stretta di mano fra Huawei e Xiaomi, che si accordano sulla tecnologia 5G.

Huawei e Xiaomi hanno sottoscritto un accordo strategico, volto a concedere in licenza reciproca le tecnologie che sono state da ciascuno realizzate, e provviste di una valenza innovativa, in materia di 5G. Tecnicamente, questa operazione prende il nome di “cross-licensing”: non è la prima volta che due concorrenti arrivano a un siffatto accordo, ma è probabilmente la prima volta che tale accordo viene reso pubblico e riguarda tecnologie di massima importanza strategica per i legittimi titolari.
Nel mondo delle telecomunicazioni, il dualismo tra grandi società ad alto sviluppo tecnologico l’ha fatta spesso da padrone.

Nokia contro Ericsson

Prima furono le scandinave Ericsson e Nokia, le cui disfide erano sostanzialmente riservate alla qualità del prodotto proposto, senza che le eventuali questioni di contraffazione potessero interessare le pagine dei giornali, a cercare nello sviluppo di soluzioni innovative e nella loro proposta al mercato il proprio punto di forza. Anche le decisioni strategiche furono quasi concordate: entrambe abbandonarono lo sviluppo della telefonia di consumo, preferendo tornare alle attività storiche a brevissima distanza di tempo una dall’altra.
Nel corso di questo duopolio, le società hanno sempre tutelato la propria innovazione con il deposito di brevetti validi a livello globale, come si può constatare accedendo alle banche dati disponibili anche gratuitamente, ma non risulta – da un accesso alle banche dati specializzate – alcuna azione legale: solo un’azione amministrativa presso l’Ufficio Europeo dei Brevetti, volta ad annullare o a limitare un brevetto di recente concessione.

La sfida fra Samsung e Apple

Nel primo decennio del nuovo millennio particolare interesse risvegliò l’annosa disfida tra Apple e Samsung, in merito alla paventata violazione di titoli di proprietà intellettuale di vario tipo, con la parte attrice di un provvedimento che diventava in un altro procedimento parte convenuta. In altre parole, le due società decisero di usare la proprietà intellettuale come strumento per misurare, e mostrare al mondo, il livello tecnologico raggiunto. Rispetto al precedente duopolio, la questione legale – transnazionale, nel senso che sui siti istituzionali non viene citata – era in numero di Paesi limitato.
Come i meno giovani probabilmente ricordano, la disfida fu ampiamente seguita da riviste di settore e quotidiani generalisti, che non si interessavano allo stato della causa solo in Italia, ma anche in vari altri Paesi industrializzati. Pur non avendo certezze a riguardo, avendo avuto conferme da chi operava nel settore del retail che “alla finestra” vi erano diversi operatori pronti ad entrare sul commercio con prodotti analoghi, le due società avevano comunque trovato una nuova strategia pubblicitaria e di marketing: la disfida globale, con i migliori studi del settore chiamati a seguire le sorti dell’azione legale e con uffici stampa particolarmente solerti che lasciavano anche la diffusione libera di notizie tanto improbabili quanto romanzesche e sensazionali (il pagamento di risarcimenti disposti dal giudice in monetine, una su tutte), consentiva di polarizzare l’interesse del consumatore. Questi poco sapeva delle ragioni sostanziali del contenzioso, ma proprio per questo temeva che acquistare un prodotto di altre società fosse un pessimo biglietto da visita, se non addirittura illecito (ciò che in effetti non era).
In un certo senso, le due società – ottimamente consigliate dai propri consulenti legali – avevano gestito nel migliore dei modi (forse esasperandoli) gli strumenti concessi al titolare di una privativa industriale, frenando oltre i confini dei titoli a disposizione l’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato.

L’accordo fra Huawei e Xiaomi

Oggi assistiamo a un passaggio successivo: i due concorrenti, Xiaomi e Huawei, che di fatto hanno in mano una importante porzione di mercato, trovano una soluzione amichevole a una serie di controversie e la rendono ufficialmente nota al mondo, pur non essendo strettamente necessario. Le ragioni di una simile decisione sono naturalmente note solo ai consigli di amministrazione delle due società, ma le dichiarazioni ufficiali dei due colossi possono aiutare a ulteriori riflessioni.
Da parte Huawei si legge “Siamo lieti di raggiungere questo accordo di licenza con Xiaomi. Questo accordo di licenza riflette ancora una volta il riconoscimento da parte del settore del contributo di Huawei agli standard di comunicazione e ci aiuterà a migliorare i nostri investimenti nella ricerca sulle future tecnologie di comunicazione mobile”.

La dichiarazione di Xiaomi riporta: “Siamo lieti di raggiungere un accordo di licenza incrociata sui brevetti con Huawei. Ciò dimostra che entrambe le parti riconoscono e rispettano la proprietà intellettuale dell’altra. Come parte del nostro impegno a nostri valori sull’IP, Xiaomi, come sempre, rispetterà l’IP, cercherà partnership IP sostenibili e a lungo termine per un successo condiviso, guiderà l’inclusione tecnologica con l’IP e consentirà a più persone di beneficiare della tecnologia”.
Huawei si sofferma sullo sviluppo tecnologico, Xiaomi sul rispetto della proprietà intellettuale: molte possono essere le interpretazioni, ma certamente ne risulta che ciascuna delle due compagnie ha bisogno dei risultati tecnologici dell’altra (e l’ago della bilancia dal punto di vista dell’IP parrebbe inclinato verso Huawei, visto che non sente la necessità di sottolinearlo). Risulta anche palese che al momento le due società non sembrano preoccupate della presenza di altri concorrenti: il loro accordo sostanzialmente è volto a dimostrare che il 5G è strettamente nelle mani delle società ad alto sviluppo tecnologico cinese, palesando la valenza strategica dell’IP anche da un punto di vista politico, anche e soprattutto a livello internazionale.

Di questo, a mio avviso, i legislatori internazionali dovranno tenere conto, stante l’intenzione di ridurre al minimo lo sviluppo di trust, anche se i complessi equilibri tra libera concorrenza e diritti di privativa renderanno particolarmente complesso giungere a una valida e condivisa soluzione.

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